L’arcipretale di Santa Maria Assunta è il principale edificio religioso della borgata, antica chiesa pievana di origine medievale citata per la prima volta nel 1188 e ricostruita in stile gotico-rinascimentale dal principe vescovo Bernardo Cles nel 1523.
La chiesa di Santa Maria Assunta si erge al limite settentrionale dell’antico quartiere di Pez e come si riscontra spesso per le chiese pievane di origine medievale, si trova in un luogo centrale del territorio e di collegamento con gli altri quartieri storici della borgata. Nonostante l’attuale aspetto tardogotico sia quello dell’ultima ricostruzione Cinquecentesca, la fabbrica è esistente ab immemorabili: gli scavi archeologici svolti nel 2001 all’interno dell’edificio, durante le operazioni di restauro, hanno mostrato, oltre a rilevanti tracce di un edificio tardoantico, l’esistenza di due chiese molto più antiche dell’attuale, erette tra il IV ed il IX secolo avanti Cristo. L’edificio è citato per la prima volta in un atto del 24 giugno 1188, documento di notevole importanza storica sia per la storia della chiesa di Santa Maria sia per gli studi legati alla famiglia dei Signori di Castel Cles. Nel documento si annota, infatti, come Arpone III di Castel Cles venda al vescovo di Trento Alberto di Campo, per 1400 lire veronesi, i suoi beni in Val Venosta, “dalla Töll a Mals con villaggi, chiese, case, avogarie, campagne etc (Cod. Wang. p.77)” e come lo stesso atto sia stato redatto “in choro ecclesie sancte Marie plebis de Cleis”, quindi nella chiesa di Santa Maria della pieve di Cles. Mentre l’edificio è citato per la prima volta come esistente nel 1188, l’istituzione pievana è menzionata a livello documentario già nel 1128 e nel 1180 si ha la menzione di Bertoldo, il primo pievano di cui si abbia notizia.
Non abbiamo notizie di come apparisse la chiesa preesistente, non esistendo descrizioni dell’architettura e neppure relative fonti iconografiche. Per quanto riguarda l’interno, possiamo solo presumere che l’edificio fosse munito di diversi altari: un documento del 1375 ricorda l’altare dedicato a San Francesco, con diritto di decima su un fondo di Dres. Un unico elemento dell’antica chiesa è sopravvissuto nell’attuale, ovvero la lastra tombale della nobile famiglia dei signori di Castel Cles voluta dal cavaliere Giorgio, nonno di Bernardo e Colonnello del Duca Sigismondo. La lapide in pietra rossa reca scolpita l’insegna dei Cles, con i due leoni rampanti e una lunga iscrizione in lettere gotiche ed in lingua tedesca. Con la seconda metà del Quattrocento le fonti si fanno più corpose e interessanti: l’anno 1475, in particolare, pare essere cruciale nella storia sia della fabbrica che della pieve. Il pievano Udalrico di Lichtenstein, canonico della Cattedrale e futuro principe vescovo di Trento (1493-1505), personaggio di spicco nella politica del principato, riesce ad ottenere, con l’aiuto del nobile cavaliere Ildebrando dei signori di Castel Cles, un’indulgenza di cento giorni a favore di chi, durante le feste dedicate alla Madonna, avesse lasciato delle offerte alla chiesa per opere di manutenzione e di “riparazione nella sua muratura e costruzione”. Questo rende chiaro come l’antica fabbrica avesse necessità di ingenti restauri e riparazioni, tali evidentemente da portare, nei primi anni del Cinquecento (nel 1507 secondo il Negri), alla decisione di abbattere la chiesa e ricostruirne una nuova e più ampia. Grazie alla volontà del pievano Giovanni Kurtz, già a partire dal 1500 e fino al 1530 viene compilato un registro delle spese relative ai lavori che ci permettono di ricostruire la cronistoria dell’edificazione della nuova chiesa arcipretale. Queste tappe sono ben riassunte da Simone Weber nel suo libro e fanno intendere che le opere sono iniziate con la costruzione della torre campanaria che secondo Francesco Negri non è stata ricostruita completamente ex-novo ma sopraelevando parte dell’esistente. Non abbiamo dati per poter confermare l’ipotesi di Negri; di certo sappiamo che nel 1508 il maestro muratore Simone ed i suoi soci Pietro e Antonio vengono saldati per lavori al campanile e che nel 1517 la torre doveva essere completata visto che la boccia, restaurata nel 2001, reca incisa questa data. I nomi dei maestri Simone, Pietro e Antonio ricorrono per diversi anni nel registro dei pagamenti, permettendo di farci ipotizzare che appartenga a loro non solo la gestione del cantiere di costruzione ma soprattutto la progettazione di quello che è considerato il prototipo dello stile cosiddetto ‘clesiano’, commistione di gotico e rinascimento. Nicolò Rasmo ha voluto collegare questi nomi alla famiglia intelvese dei Delai mentre Michelangelo Lupo e Giuseppe Gorfer all’architetto Antonio Medaglia, sempre della Val d’Intelvi, che è documentato in quegli anni nella realizzazione della chiesa di Santa Maria Maggiore a Trento. Con l’elezione di Bernardo Cles a principe vescovo di Trento i lavori proseguono alacremente; direttore dei lavori della fabbrica è Baldassarre Cles, fratello del vescovo, capitano delle Valli di Non e di Sole e Regolano Maggiore. Nei documenti Baldassarre viene indicato come Gubernator maior fabricae Ecclesiae. Sotto la sua guida vengono raccolte incessantemente somme ingenti per far fronte alle spese: nel 1518, terminati i fondi a disposizione della pieve, stabilisce di comune accordo con i regolani di raccogliere una colletta di “grossi 20 per ogni fuoco”, in modo da poter procedere con le opere. Sempre nel registro delle spese inaugurato dal pievano Giovanni Kurtz troviamo altre notizie interessanti, come l’acquisto del 1519 di lastre di piombo giunte dalla Rotaliana per il rivestimento del tetto della torre campanaria, oppure l’ultima spesa del 1522 di materiali di costruzione, fra cui legni e assi provenienti dalla Val di Tovel. Alla conclusione dei lavori, il 16 agosto 1523, la nuova fabbrica che misurava cinque campate viene inaugurata alla presenza del principe vescovo Bernardo Cles, come ricorda la lapide tuttora murata sopra il portale meridionale: BERNARDUS CLESSIUS EPISCOPUS TRIDENTINUS MCCCCCXXIII. Anche se mancano attestazioni scritte in merito, Bernardo Cles ebbe un ruolo fondamentale nell’edificazione della nuova chiesa e nelle scelte stilistiche adottate. Domenica Primerano, nel volume ‘Bernardo Clesio. Signore del Rinascimento’, spiega perfettamente come l’architettura stessa dell’edificio rispecchi il pensiero del Cles e come l’intervento del principe vescovo non sia documentato solo dagli stemmi e dalle iscrizioni in pietra presenti all’esterno dell’edificio, ma sia palesato tramite la concessione chiamata ‘Privilegio Clesiano’ del 27 settembre 1535. In questo documento Bernardo, oltre ad elevare la villa di Cles a Borgata, stabilendo “che in avvenire in tutti gli atti pubblici e privati il detto luogo sia onorato con il titolo di Borgata, e non sia più chiamato Villa di Cles, ma si appelli Borgo di Cles”, concede in particolare “cento giorni di indulgenza a tutti e singoli fedeli cristiani tanto della borgata che di altri luoghi, che siano confessati e contriti, o che porgano qualche aiuto alla fabrica della chiesa della gloriosa Vergine Maria, Madre dolcissima di Dio, del detto borgo, per gli ornamenti della medesima, e che visiteranno divotamente la detta chiesa dalla Vigilia dell’Assunzione nel mese di agosto fino all’ottavo dello stesso giorno”. La decisione del Cles di concedere le indulgenze, ripristinate per cento giorni anche nel 1537 da dodici cardinali di Roma grazie alla richiesta dell’influente pievano Tomaso Marsaner, confermano da un lato l’interessamento diretto di Bernardo Cles e dall’altro lato ci ricordano come la pieve fosse in gravi difficoltà economiche dovute alle ingenti spese di riedificazione della fabbrica (spese sostenute quasi totalmente dalla comunità e dalla pieve stessa tramite la vendita di più di venti fondi del proprio patrimonio). Un inventario del 1550, redatto dal sindaco della chiesa, il notaio Giovanni Antonio de Melchioribus di Cles, conferma questa difficile situazione descrivendo un edificio estremamente spoglio di arredi e beni mobili, munito di sole tre campane all’interno del maestoso campanile alto cinquantotto metri. Un successivo inventario steso nel 1579 ci permette di capire che il contesto, grazie all’appoggio della famiglia dei Signori di Castel Cles, stava nettamente migliorando: il documento cita l’esistenza di cinque altari (l’altare maggiore dedicato a Santa Maria, i laterali dedicati a Santa Caterina, San Rocco, San Giovanni Battista e Sant’Andrea), di un orologio grande datato 1558 e di pianete riccamente decorate, con insegne delle famiglie Cles e Wolkenstein. La campana grande, detta “Barona”, reca la data 1581 ed è stata fusa da Giorgio Huser di Vipiteno in una fossa immediatamente esterna alla chiesa, su committenza del barone Aliprando Cles. La campana - che reca lo stemma Cles e diverse decorazioni e iscrizioni - è particolarmente maestosa, pesando 22 quintali e misurando un metro e cinquanta di altezza per un metro e trentatrè centimetri di larghezza. Il fonte battesimale, scolpito in un unico blocco di pietra calcarea da autore ignoto, è posto all’ingresso della chiesa, lungo la parete sinistra e reca la data 1598; la copertura moderna, sormontata da una effige di San Giovanni Battista, è opera di Carlo Bonacina (1944). Il 1613 è un anno importante per la storia della chiesa di Santa Maria Assunta: il cardinale Carlo Madruzzo, con diploma del 23 settembre, innalza la chiesa all’onore di Arcipretale ed il Pievano di Arciprete. Il Madruzzo motiva la decisione scrivendo che “…la Chiesa di Santa Maria Assunta del Borgo di Cles della nostra Diocesi di Trento è delle più insigne ed ha molte chiese, nel Borgo stesso e fuori, immediatamente soggette, sicché a buon diritto merita di essere onorata col titolo di Arcipretura, e tale onore riesce certamente d’incremento al divin culto”. Nel 1618 l’arciprete veronese Giorgio Mazzante fa spostare la canonica da un ambiente alla base del campanile ad una nuova struttura addossata alla parete meridionale dell’abside della chiesa. Sopra la porta d’entrata di questa nuova costruzione, dopo alcuni lavori di ristrutturazione svoltisi nel 1739, viene murato un antico doccione zoomorfo proveniente dalla parte sommitale della torre campanaria. Su questo magnifico gargoyles tardogotico, fortunatamente riutilizzato e tuttora visibile, è stata incisa la data 1739 inerente i restauri. A partire dal 1630, al termine della grave epidemia di peste, la comunità di Cles decide di elevare San Rocco a secondo patrono della chiesa parrocchiale: da quel momento in poi, quindi, all’interno dei documenti di archivio, l’edificio è spesso indicato come chiesa di Santa Maria e di San Rocco. Pochi anni dopo, nel 1640 viene fondato il Beneficio Bevilacqua, arricchito dal lascito della famiglia Bertoldi: la storica famiglia clesiana di farmacisti Bevilacqua diede 2130 ragnesi per spesare le funzioni festive della parrocchia. Per questo motivo l’altare barocco di San Giovanni Battista, tuttora presente nella cappella lungo la parete sinistra della chiesa, reca gli stemmi delle famiglie Bevilacqua e Bertoldi. Al Beneficio Bevilaqua si succedono, fino al 1778, molti altri benefici di famiglie nobili e borghesi della borgata, benefici che permettono di finanziare le celebrazioni presso i diversi altari presenti nella chiesa. Nel 1648 il maestro d’organo Carlo Prati, ricevendo in pagamento 3957 troni, installa un organo di 444 voci di produzione ginevrina; secondo Negri questo strumento non è il più antico ma andò a sostituire un organo in cattive condizioni, relativamente al quale non abbiamo informazioni. In questo periodo la Pieve è in perfetta salute tanto che il principe vescovo Sigismondo Alfonso Thun di Bragher, giunto a Cles nel 1672 in visita pastorale, descrive la chiesa parrocchiale di San Rocco come “tenuta splendidamente” ed elogia le funzioni svolte in quel luogo con “grande solennità e concorso di popolo”. In quell’epoca, oltre ai signori di Castel Cles, avevano diritto di sepoltura all’interno della chiesa oltre dieci famiglie legate alla nobiltà minore. Gli scavi archeologici svolti all’interno della fabbrica sotto il piano di calpestio, durante i restauri del 2001, hanno rivelato l’esistenza di queste antiche sepolture, alcune delle quali monumentali con soffitto in volta a botte. Il sistema di drenaggio estremamente funzionale scoperto dagli archeologi ha permesso la conservazione di queste sepolture e di molti resti ossei al proprio interno. Il drenaggio delle acque sotto la chiesa è fondamentale, essendo essa stata costruita a valle del Doss di Pez e soprattutto ai margini dell’antico lago delle Moje, completamente bonificato già prima del XVI secolo. Nonostante la bonifica, il terreno in quell’area resta comunque abbastanza instabile, al punto che la visita pastorale dei canonici Domenico Wolkenstein e Giuseppe Michele Spaur, nel 1708, riporta l’urgenza di lavori di consolidamento alla base del campanile, visto che la torre “pendeva alquanto da una parte”, lavori protrattisi fino al 1721. È durante queste opere che nell’antica boccia posta alla sommità del campanile vengono inseriti i primi documenti riportanti notizie sull’economia e sull’amministrazione della borgata di Cles in quel preciso momento storico. Questa usanza si è ripetuta ad ogni restauro della torre, sia nel 1839 che negli anni 1864, 1944 e 2001. Nel 1727 la chiesa, oltre a vedere la cella campanaria arricchirsi di due nuove campane (fra cui la mezzana dedicata a San Rocco, tuttora esistente), viene omaggiata dal barone Giuseppe de Cles della corposa argenteria, considerata una delle meraviglie della Valle di Non: crocifissi, calici, ampolline, piatti, candelabri, il tutto del peso complessivo di quasi ottanta chilogrammi di argento. Altri donatori, tra i quali la dama di corte Maria Gioseffa Trapp, aggiungono lampade e candelieri in argento al tesoro della parrocchiale. L’importanza di quest’ultimo viene sottolineata dal fatto che papa Benedetto XIV emise decreto di scomunica ipso facto incurrenda, contro chi avesse rubato anche solo un pezzo dell'argenteria. Tra il 1764 e il 1768, l’architetto e scultore Teodoro Benedetti da Mori sostituisce il primitivo altare maggiore in legno dorato con il monumentale altare in marmo policromo, caratterizzato dall’aereo espositorio sostenuto da colonnine e sormontato da una cupola a cipolla; l’altare, tuttora esistente all’interno, risulta il principale elemento decorativo all’interno della fabbrica ed è stato strutturato per esaltare parte dell’argenteria del tesoro della parrocchiale, in particolare la grande croce di un metro e sessanta centimetri posta al centro. La costruzione dell’altare ed i termini del contratto tra il Benedetti e la comunità di Cles è ben documentata da Francesco Negri, che ricorda curiosamente come si era convenuto che l’architetto si accollasse il pagamento “di tutti i dazi e transiti (dei marmi, N.d.A.) fino al luogo di Grumo presso Mezocorona”. Nel 1774 Giovanni Battista Sartori di Castione ristruttura il presbiterio con nuovi gradini e balaustre barocche in pietra e posa un nuovo pavimento nella navata con un motivo a scacchiera di pietre bianche e rosse. In quel periodo la chiesa conta otto altari e, per quello maggiore, il pittore clesiano Pietro Antonio Lorenzoni dipinge, nel 1776, la pala con la "Assunzione di Maria in Cielo". La grande tela di 244x190 cm, in origine posta sulla parete dell’abside dietro all’altare maggiore, è oggi visibile lungo la parete sinistra della navata, immediatamente sopra l’accesso di settentrione. La pala vede al centro la Vergine scendere in cielo sorretta da due angeli e nella parte bassa i Dodici Apostoli raccolti attorno al sarcofago aperto. Di autore ignoto ma databili sempre alla seconda metà del XVIII secolo sono gli affreschi con Gesù nell’orto degli ulivi, la Crocifissione e la Resurrezione posti all’esterno della chiesa tutt’attorno al portale di Settentrione, portale che fino al 1811 dava sul cimitero presente in quell’area. Questi affreschi sono gli unici, assieme alla lunetta del portale maggiore, presenti ad oggi nella chiesa arcipretale. I restauri del 2001 hanno rivelato lacerti lungo le vele dell’abside, con la rappresentazione di un cielo stellato e figure di Santi, e tracce di grandi stemmi affrescati sulla torre campanaria, coperti dalla realizzazione dei quadranti dell’orologio nel 1752. Sul finire del XVIII secolo la popolazione di Cles supera i duemila abitanti e risulta chiaro come la chiesa arcipretale sia ormai troppo angusta. Nel 1785 viene perciò costruita una nuova orchestra da utilizzarsi non solo come semplice cantorìa ma soprattutto per dare spazio ai fedeli. La soluzione si rivela comunque insufficiente, tanto che nel 1807 si decide di spostare il cimitero nella periferia meridionale della borgata per fare spazio ad un ampliamento dell’edificio. Il nuovo cimitero viene inaugurato nel 1811 mentre i lavori di allungamento della navata hanno inizio nel 1818, grazie anche all’apposito lascito testamentario di 1600 ragnesi della signora Orsola Planizzer. Le opere di ampliamento, terminate nel 1822, sono dirette dall’arciprete Luigi Flammacini con incarico all’ingegner Giovanni Maria Donati. Nonostante un apposito comitato avesse osservato che il semplice allungamento della navata di due arcate non fosse sufficiente, si decise comunque di partire con il progetto previsto per non perdere tempo. Per finanziare gli ingenti lavori, oltre ad utilizzare il lascito Planizzer, vengono messi all’asta i beni della chiesa di San Valentino presso le Moje. La stessa chiesetta viene abbattuta ed i materiali di risulta utilizzati per l’allungamento dell’arcipretale, eseguito dall’impresa di Bortolo Leita. L’ampliamento della chiesa, pur snaturandone la pianta, non ha mutato l’aspetto generale dell’interno e nemmeno quello della facciata originaria cinquecentesca: essa infatti è stata completamente smontata e ricostruita esattamente com’era, tanto che le pietre dei contrafforti angolari recano tuttora i numeri incisi a scalpello utilizzati per la corretta ricostruzione. Lo stesso ampliamento ha però mutato l’andamento delle pareti delle navate: i portali laterali sono stati infatti spostati di una campata ed una delle finestre della facciata meridionale spostata dalla seconda alla settima nuova campata. È interessante notare come tutti gli interventi siano stati mossi da una coscienza dell’importanza architettonica del bene, con una palese volontà di non alterare la fabbrica clesiana. A tal proposito è giusto ricordare come nel 1868 sia i membri della confraternita di San Rocco che la popolazione si siano opposti ad un progetto di ampliamento verso settentrione della cappella di San Giovanni Battista, non volendo approvare “un simile sconcio per la chiesa e per la piazza”. Nel 1854 vengono rinnovate le pale degli altari del Rosario e di San Luigi con due pale dipinte dal veneziano Michelangelo Grigoletto nell’accademia di belle arti di Milano. Nel 1874 il pittore Leonardo Campochiesa esegue i quadri della Via Crucis, con cornici neogotiche del clesiano Giovanni Pancheri. Tutte queste opere sono tuttora presenti nella parrocchiale. Nell’ultimo secolo si sono succeduti tre importanti restauri all’intero edificio. A partire dal 1943, “mentre ancora infuria la guerra più atroce di tutte le guerre”, inizia il restauro della copertura del campanile ed a seguire il rifacimento degli intonaci interni della chiesa, fino al 1950, grazie ai fondi raccolti tra la popolazione clesiana che voleva in questo modo ringraziare la Madonna per aver salvato la borgata di Cles dalla distruzione. In quell’occasione vengono anche posizionate nella controfacciata due bassorilievi in pietra calcarea dello scultore Luigi Degasperi, uno recante il ritratto di Bernardo Cles e l’altro con l’impresa del principe vescovo e la seguente iscrizione commemorativa dei restauri: “B MARIA VIRG PATROCINANTE / A GLADIBUS BELLI INTEGER / POPULUS CLESIENSIS / VOTUM PERSOLVENS / TEMPLUM HOC RENOVATI / ANNO DOMINI MCML”. Tra 1970 e 1973, per adeguare la chiesa ai dettami del Concilio Vaticano Secondo, vengono rimossi gli altari barocchi ai lati dell'arco santo (collocati nel 1829 e provenienti dalla chiesa veneziana in Isola), così come il pulpito, e si procede a rinnovare la pavimentazione interna della navata e del presbiterio. Tra gli anni 2000 e 2003, su progetto dell'architetto Chiara Zanolini e degli ingegneri Rinaldo Meneghini e Silvano Bertoldi, viene realizzata un'ampia opera di restauro conservativo, che vede l’adeguamento liturgico con i nuovi ambone e altare opere di Livio Conta, la pulizia ed il restauro degli apparati lapidei e degli intonaci interni ed esterni, il rifacimento della copertura, il restauro completo della sacrestia.
L’architettura rinascimentale si inserì con difficoltà nel territorio del Principato di Trento: dapprima con qualche influsso veneto, alla fine del Quattrocento e poi con maggior vigore, grazie alla volontà di Bernardo Cles di comunicare attraverso un nuovo linguaggio. A livello culturale, la sua impresa più grande fu quella di inserire la novità dello slancio culturale italiano in una regione dominata dal tardogotico ambiente tedesco. Il principe vescovo Bernardo Cles, coadiuvato da artisti provenienti da tutta la penisola ed in particolare dagli architetti lombardi, riuscì a creare uno stile di mediazione fra quello gotico e quello rinascimentale, denominato "stile clesiano". La chiesa arcipretale di Cles è il primo edificio religioso in questo stile, il prototipo di numerosi altri edifici sparsi nel Principato di Trento quali, per esempio, la chiesa conciliare di Santa Maria Maggiore a Trento o la chiesa di Santa Maria Assunta a Civezzano.
Come per le più celebri architetture del Rinascimento italiano, anche nell’arcipretale di Cles la gestione dello spazio è la chiave dell'intero progetto. Alla base vi è la volontà di non creare due navate laterali, come sarebbe stato naturale nella tradizione gotica per edifici di queste dimensioni, come ad esempio nella basilica dei Santi Martiri di Sanzeno, costruita a partire dal 1480; a Cles si decide di costruire, prendendo forse come punto di riferimento l’albertiano Sant’Andrea di Mantova, un'ampia volta a tutto sesto con una luce di oltre dodici metri, creando quindi un unico vasto spazio. L'elemento decorativo cardine dell’interno è la volta a nervature; gli aerei costoloni in pietra, retaggio di un radicato passato gotico, scendono a poggiare sui muri perimetrali e sui contrafforti esterni scandendo lo spazio e sorreggendo in parte la vasta volta a botte. Le finestre verticali gotico-rinascimentali fanno entrare tagli di luce abbaglianti tendenti a valorizzare la struttura spaziale. L’ordine della navata è dettato da importanti regole geometriche: se la volta potesse chiudersi in un cerchio, questo poggerebbe perfettamente sul pavimento.
All'esterno la chiesa ricalca fedelmente la tipologia tradizionale locale con facciata a capanna e tetto a due spioventi. Questa apparente semplicità cela, come per l’interno, rapporti geometrici rigorosi. Osservando attentamente la facciata possiamo notare che essa è il risultato di due figure, un quadrato sormontato da un triangolo equilatero. Nell’area del quadrato sono inscritti simmetricamente i contrafforti gotici, il rosone e il portale puramente rinascimentale; questo è l’elemento saliente ed è il prototipo di decine di portali cinquecenteschi in Trentino. Bernardo Cles ha voluto simbolicamente un portale del tutto nuovo, disegnato secondo i canoni della sezione aurea, per marcare come i fedeli dovessero entrare attraverso una soglia totalmente rinnovata, in un periodo in cui le parole di Lutero cominciavano a risuonare anche nel principato trentino.
I prospetti laterali sono caratterizzati da alti contrafforti gotici che creano effetti chiaroscurali e danno imponenza e verticalità a tutta la struttura; essi collaborano a dare risalto all’elemento caratterizzante dell’esterno, la torre campanaria, perno del tessuto urbano clesiano. La torre, puramente gotica, è alta cinquantotto metri ed è alleggerita da alte bifore e da una cuspide ricoperta di scandole lignee. È da notare come gli architetti comacini, partendo dalla base verso la sommità del campanile, abbiano gradualmente ridotto la distanza tra un marcapiano e l’altro, accentuandone l’altezza con un effetto ottico.